Biografia

PASQUALINO CANZII

La vita

Pasquale Canzii nasce alle ore 10.12 di venerdì 6 novembre 1914 a Bisenti, centro principale della Valle del Fino, in provincia di Teramo. Il paese, ricco di testimonianze medioevali e barocche, secondo la tradizione avrebbe dato i natali a Ponzio Pilato.

 

I genitori Alfredo e Semira Forcellese, lui sarto, lei casalinga, da tempo aspettavano un figlio; ora che finalmente la provvidenza ha mandato un bel bimbo, in segno di riconoscenza al santo patrono, lo chiamano Pasquale. Il piccolo verrà battezzato nella Chiesa parrocchiale di Santa Maria degli Angeli solo l'anno dopo, il 16 maggio 1915, secondo l'usanza del tempo.

L'aiuto del Cielo si fa presto sentire. A tre anni Pasqualino (come è da tutti subito chiamato), lasciato dalla mamma vicino al fuoco, cade in un caldaio pieno di acqua bollente. Ma con grande meraviglia dei familiari, che subito gridano al miracolo, gli occhi del piccolo non subiscono danni. Solo qualche scottatura sulle palpebre e le sopracciglia bruciate rimangono il segno di una brutta esperienza; dopo lungo tempo il visino di Pasqualino ritorna bello e florido come prima.

 

Santi non si nasce, ma a volte i segni si vedono dall'inizio. Pasqualino rivela presto un temperamento calmo e sereno, portato al silenzio e al raccoglimento e incline alle cose di Dio. I suoi genitori, due cristiani davvero ferventi, lo educano ad amare Dio come un papà e gli insegnano con premura le prime preghiere. La mamma lo porta sempre con sé in chiesa, dove, con meraviglia di tutti, si comporta da grande, sempre attento e raccolto. Gli inculca con fervore la devozione alla Madonna degli Angeli e ai santi protettori, San Pasquale Baylon e San Gabriele dell'Addolorata. Ogni tanto gli indica l'altare: "Figlio mio, là è Gesù, pregalo che ti faccia buono". E Pasqualino guarda coem incantata e ripete con candore le parole udite dalla mamma: "Gesù, Gesù … fammi buono".

A cinque anni Pasqualino corre un altro pericolo. Si trova nella bottega di un fabbro con un coetaneo che ha in tasca della polvere da sparo; una scintilla, partita dalla fucina, accende la polvere e una grossa fiammata investe Pasqualino e gli brucia tutto il viso. Questa volta le scottature sono gravi, si temono serie complicazioni. Il viso diventa tutto una piaga, le labbra e le palpebre si gonfiano, ma la vista non subisce danni. Il piccolo non potrà aprire bocca per vari giorni e per dargli da mangiare devono usare una cannuccia. Finalmente guarisce e il suo volto riacquista la freschezza di prima. Anche stavolta i genitori ringraziano il Signore per aver salvato il loro bambino. Pasqualino passa le sue giornate tra casa e chiesa, che preferisce ad ogni altro svago; anzi, quando non può andarci, se ne dispiace non poco.

 

Intanto, casa Canzii si allieta di un'altra nascita. Il 29 giugno 1919 arriva il fratellino Pietro, una bocca in più da sfamare. Papà Alfredo capisce che i suoi guadagni non sono sufficienti per mantenere la famiglia accresciuta e ripensa al suo vecchio progetto di emigrare in America. Le esigenze economiche gli imporrebbero di partire, ma l'amore alla famiglia e al paese natio lo frenano nella decisione. Finalmente, non riuscendo più neppure a pagare l'affitto, decide di emigrare negli Stati Uniti.

Superato lo choc della partenza del padre, la vita in casa Canzii riprende come sempre. Pasqualino ha iniziato ormai la scuola, dove si rivela sempre attento e silenzioso. Dotato di buona intelligenza, si impegna con diligenza nei suoi doveri scolastici. È un ottimo studente che gli insegnanti portano a modello per profitto e condotta.

Anche in chiesa il suo portamento è notato da tutti. Diventa presto un esperto chierichetto che più volte l'abate-parroco don Filippo De Flaviis loderà pubblicamente. Rifiuta i regali che il parroco ogni tanto gli offre, dicendosi felice di aver compiuto un atto che piace a Dio.

 

Tutti i suoi compaesani si accorgono che Pasqualino è un ragazzino diverso dagli altri, che corre davanti a tutti sulla via della santità: non manca mai alla messa e alle funzioni religiose come la Recita del Rosario, i vari tridui, novene, via crucis. È felicissimo se può rendersi utile per qualche servizio religioso.

 

Aspetta con entusiasmo il giorno della prima comunione. In breve diventa il primo alla Scuola di Catechismo. Impara a memoria tutte le verità della fede e si prepara con cura all'incontro con Gesù Eucarestia. Si allena in casa a celebrare messa con un altarino improvvisato, con il fratellino Pietro che gli fa da chierichetto. Il 31 maggio 1925 Pasqualino riceve la prima comunione. L'anno dopo, il 29 maggio 1926, viene cresimato dal vescovo diocesano Mons. Carlo Pensa.

 

Pasqualino fa sul serio. Non si tratta di entusiasmo passeggero tipico degli adolescenti, ma è convinto che Dio lo chiama a lasciare tutto per Lui. Il 14 ottobre 1926 entra nel seminario diocesano di Penne (PE). Veste l'abito talare e inizia la sua nuova vita abbracciata con grande entusiasmo. Attira subito su di sé l'attenzione di tutti per il suo aspetto delicato e gentile e per lo sguardo ingenuo e dolce.

 

Non ha difficoltà a rispettare l'orario e il nuovo ritmo di vita del seminario. Non rimpiange nulla di ciò che ha lasciato ed è sempre pronto ad ubbidire ai suoi superiori; è convinto che la volontà dei superiori rispecchia quella di Dio. Un giorno, interrogato con tono sprezzante da un tale sul perché avesse scelto la vita ecclesiastica, risponde: "Perché, quando sarò ordinato sacerdote potrò salvare molte anime e avrò assicurato la mia. Lo vuole il Signore, ed io ubbidisco. Benedico mille volte il Signore che mi ha chiamato a conoscerlo e amarlo".

 

Anche in seminario presto tutti si accorgono che è il migliore. Nonostante il suo gracile stato di salute, Pasqualino compie tutti i suoi doveri con impegno e convinzione. Desidera solo fare ciò che Dio vuole. "Signore, farà scrupolosamente tutto quello che mi sarà comandato; adempirò con tutte le forze del mio povero cuore tutti i doveri del mio stato", scrive nei suoi propositi. Non si accontenta di osservare i momenti di preghiera comunitaria, ma coglie ogni occasione per stare vicino a Dio, con preghiere personali e mortificazioni. Ad un suo compagno invidioso che gli chiede dove trovi tanta pace e tranquillità risponde: "Nella fede in Dio: ecco tutto". Il segreto è tutto qui: vivere solo per il Signore, desideroso di fare "tutto per Iddio"; niente senza Dio; tutto per la sua maggiore gloria". Non si contenta mai del minimo, capisce che Dio chiama sempre alla perfezione ogni suo Discepolo.

Pasqualino non si monta mai la testa, neppure di fronte ai ripetuti elogi dei superiori e dei suoi compagni in seminario. Rimane sempre un semplice ragazzo. Una profonda e sincera umiltà è il fondamento della sua vita interiore. "Gesù, voglio essere sempre umile, come voi volete", ripete spesso. Il suo contegno in Cattedrale, in Cappella, a scuola, durante lo studio è sempre corretto e raccolto. I compagni e i suoi superiori notano presto in lui una non comune religiosità. In testa ha una sola idea fissa: la santità. Tra i suoi propositi ce n'è uno ricorrente: "Gesù voglio farmi santo, presto e grande".

 

Il suo primo biografo, Mons. Luigi Di Francesco, racconterà di averlo visto andare due volte con gli altri seminaristi al Santuario di San Gabriele per l'annuale visita al santo dei giovani: "Pregato da Mons. Vescovo a rivolgere una paterna parola ai seminaristi, notai fra essi uno in atteggiamento da santino, che sembrava irradiato da luce divina. Il Canzii mi sembrò il vero modello del seminarista, secondo le intenzioni di nostra Madre Chiesa".

 

Fin dal primo giorno della sua entrata in seminario Pasqualino promette a Gesù di non perdere un solo minuto del tempo assegnato allo studio e alla preghiera. Si dedica allo studio con grande impegno e allo stesso tempo fa grandi progessi nella vita spirituale tanto che sia in seminario che a Bisenti è portato come modello.

 

La sua vicenda con Dio lo rende allegro e affabile con tutti. Si vede da lontano che il suo cuore trabocca di felicità. "Che soddisfazione, esclama, quando si sa di aver fatto fedelmente ed esattamente compiuto i propri doveri per amore di Dio". Sui suoi compagni di seminario esercita un'attrattiva speciale: tutti cercano la sua compagnia sempre piacevole e molto desiderata e lui si mostra affabile e generoso con tutti. Un suo compagno, diventato poi passionista, lo ricorderà come uno "sempre facile al riso, semplice, buono, come un bambino". E confermerà anche che "Canzii nel cuore ardeva di vivo amore per Gesù e aveva inoltre una tenere devozione verso la Madonna".

 

Il suo amore per Gesù e sua madre Maria è talmente grande che quando parla delle cose del Cielo il suo viso diventa luminoso. Conserva sempre puro il suo cuore, il suo animo è di una limpidezza cristallina. Pasqualino evita ogni sguardo, ogni sesto, ogni parola che possa anche minimamente offuscare la purezza del suo animo. Sua madre affermerà che mai udì dalla bocca del figlio parole indecenti, mai vide in lui gesti scomposti o sconvenienti. Il suo portamento riservato, ma sempre cortese e caritatevole, è indice della limpidezza del suo animo e della sua santità. Nei luoghi più frequentati della sua casa mette una targa: "Dio mi vede; Dio vede tutte le mie azioni".

 

La sua vita di preghiera si nutre della parola di Dio o dell'esempio dei suoi santi protettori S. Gabriele dell'Addolorata, S. Luigi Gonzaga, S. Giovanni Berckmans. É sempre più convinto che Dio lo chiama ad essere come loro: "Se S. Luigi Gonzaga, S. Gabriele dell'Addolorata, S. Giovanni Berckmans sono santi in carne ed ossa come me, perché io non debbo farmi santo? Sì, o Gesù, io voglio farmi santo, e gran santo, assolutamente".

 

Quando deve prendere qualche decisione importante, Pasqualino ricorre subito alla Vergine Maria e a S. Gabriele, a cui deve la sua vocazione: "Vergine benedetta, voi che mirabilmente mostraste a S. Gabriele la via da intraprendere, esauditemi e mostrate anche a me la via che conduce al Cielo. Voi, Madre di Misericordia e di Bontà, abbiate compassione del vostro misero figliuolo ed aiutatelo sempre in tutte le traversie della vita terrena, perché sotto la sapiente vostra guida giunga infine al sospirato porto di salvezza".

Pasqualino non manca di inculcare anche nei suoi famigliari la sua grande devozione alla Madonna. Nell'ultima lettera al papà lontano, scritta il 26 dicembre 1929, lo invita a rassegnarsi alla volontà di Dio e a pregare sempre Maria: "Sì, fate bene a rimettervi alla S. Volontà di Dio, il quale sempre dispone le cose a nostro bene. Non fa niente se abbiamo da soffrire in questa vita, perché se abbiamo offerto a Dio i nostri dolori in isconto dei nostri ed altrui peccati, acquisteremo meriti per quella Patria Celeste dove tutti aneliamo. Coraggio, caro papà, facciamoci forza, per pervenire al Paradiso, la cui porta sicura è Maria la Madre di Gesù e di tutti noi Cristiani. Non tralasciate di recitare almeno un'Ave Maria in onore di questa Vergine Santa. Vorrei un santo qualsiasi che vi parli della Madonna, ma neanche questo potrebbe dir bene e precisamente tutti i privilegi e l'amore che ci porta Ella".

Dai santi impara anche a condurre una vita mortificata. Non si lamenta mai del vitto che definisce sempre ottimo e di pieno gradimento. Una volta la madre, vedendolo indebolito, gli porta un cestino di uova fresche, ma Pasqualino l'accetta solo dopo aver ottenuto il permesso del rettore. Le testimonianze di parenti, superiori e amici sono concordi nel ritenere nel Canzii modello di Cristiana Mortificazione.

 

Quando torna a casa in vacanza dà sempre prova di grande distacco delle cose terrene. É parco nel cibo e veste in maniera molto semplice. Un giorno confida alla mamma: "Mamma, il Signore mi ha chiamato e sempre più viva mi fa sentire la sua voce. Se per sua grazia un dì sarò ordinato sacerdote e sarò chiamato alla cura delle anime, io darò tutto ai poveri, figli prediletti del suo amabilissimo Cuore". E continua: "Mamma mia, che giova guadagnare tutto l'oro del mondo se si perde l'anima? Per la salute spirituale, nulla è più pericoloso del denaro. Abbracciare la legge della mortificazione non è perdita ma guadagno, poiché si vince il mondo e si guadagna il Cielo".

 

Il fratello Pietro, scomparso a Baltimora negli Usa nel 2013, ricorda che "questo Pasqualino tornava dal seminario durante le vancanze passava il tempo in casa ed in Chiesa e leggeva tanto, questo era il suo più grande passatempo ed era tanto felice di vedersi vestito da seminarista. Ogni mattina andava in Chiesa a servire la Santa Messa al caro parroco Don Filippo De Flaviis".

La corsa di Pasqualino verso la santità sembra rallentata da prove ed ostacoli. La prima prova gli viene da sua madre che, vedendolo deperito, gli consiglia di tornare a casa fino a che non si fosse ristabilito. Ma Pasqualino si oppone con l'energia di un adulto, affermando che non c'è nessun bisogno di tornare a casa perché si sente bene e che è contentissimo della sua vita. "Madre mia, risponde, io qui sto benissimo, grazie a Dio; ogni tuo tentativo per allontanarmi da questo Santo Luogo riuscirà vano, perché Iddio vuole che io rimanga. Se mi ami veramente e cristianamente, lasciami in pace, col mio Buon Gesù". Neppure l'insistenza del rettore e di qualche suo compagno riesce a smuoverlo.

Ma un altro ostacolo arriva dal papà Alfredo, che sognava di vedere Pasqualino avvocato o medico, sapendolo intelligente e studioso. Le prova tutte. Ricorre persino a un sacerdote che scrive dall'America a Pasqualino, invitandolo a lasciare il seminario. Per fortuna Pasqualino incontra di nuovo il missionario passionista che gli aveva consigliato di entrare in seminario. Il religioso lo rassicura e gli fa capire che bisogna obbedire prima a Dio e poi agli uomini. "Sì, sì, Padre mio, si consola Pasqualino, è meglio ubbidire a Dio che al padre terreno, il quale è soggetto agli errori e smarrimenti del sentire umano". Sulla busta dell'ultima lettera del sacerdote americano scrive a caratteri cubitali: "ALEA JACTA EST" (Il dado è tratto).

La sua fermezza disarma per sempre i genitori che si convincono che è meglio lasciare libero Pasqualino di seguire la sua strada. Una lettera scritta alla madre il 5 maggio 1929, per informarla della visita ricevuta da un suo compare e dalla di lui sorella diretta a Roma per farsi suora, rivela la grande convinzione di Pasqualino: "Il giorno 29 aprile vennero a trovarmi nelle ore pomeridiane il Signor Umberto insieme con sua sorella Bettina. Io fui molto contento di aver riveduto, l'ultima volta, questa santa giovane. Con me non poté parlare a lungo perché non avevo il tempo; mi disse che andava a farsi suora per rispondere alla chiamata del Signore, e che ci saremmo riveduti in Paradiso. Sappi, cara madre, che il dono fatto da Dio a questa pia giovinetta, dandole una così santa e nobile vocazione, è raro. Io, da parte mia non manco mai di pregare Dio e la Regina del Sacerdozio, per la mia vocazione e prego di dare anche al mio fratellino una bella vocazione religiosa".

Nel novembre 1929 scrive una lunga lettera a Padre Ireneo che si trova al santuario di San Gabriele. Gli domanda preghiere speciali per rafforzare la sua vocazione e per superare le tentazioni: "Ho ripensato alle sue parole, ed ho visto che brutta cosa rimanere nel mondo. Anche stando qui sono tentato molte volte, almeno credo, a fare del male e chi lo sa che cosa ne sarebbe se io fossi fuori. La vorrei vicino a me per dire quale dolore provo da certe immaginazioni brutte …. Ho fatto buoni proponimenti, ma gli scoraggiamenti e timori me li annullano. Padre mio … compatisca le mie miserie e preghi per me". Il sacerdote passionista gli risponde: "Guarda la Stella, invoca Maria … Coraggio, coraggio, figliuolo; sotto lo sguardo di tale Madre non si può perire. San Luigi, San Gabriele dell'Addolorata … tutti i santi trionfarono sotto la Protezione di Maria Santissima".

 

L'aspetto esteriore di Pasqualino, secondo molti testimoni, rispecchia la bellezza della sua anima. È un bel ragazzo, piuttosto alto, biondo, il viso pieno, la fronte alta e spaziosa, occhi vivissimi, portamento nobile e modesto allo stesso tempo. A quindici anni ci si prepara a gustare in pienezza tutta la vita. Anche Pasqualino ha tutta le vita davanti e sogna il giorno in cui sarà sacerdote e potrà proclamare a tutti l'amore di Dio. Ma troppo tardi si accorge il suo corpo è minato dalla terribile tubercolosi. Nel gennaio 1930 la malattia esplode in tutta la sua brutalità. Quando capisce che ci sono poche speranze, Pasqualino, come il suo santo protettore San Gabriele, non perde la sua giovialità e accetta il disegno di Dio, anzi accelera in uno sprint finale verso la santità. Il pensiero della morte, anziché turbarlo, lo allieta, perché sa di essere vicino al traguardo.

 

Nelle ultime lettere ai suoi cari fa balenare il presagio della fine: "I giorni passano velocemente; chi sa che la morte non sia vicina? Andiamole incontro con intrepidezza; riceviamola come principio di una vita più bella: Iddio ci aiuterà con la sua infinita carità". Molti anni prima ha promesso di portare scolpite nel cuore le parole di Santa Teresa "Prima patire e poi morire". La quotidiana meditazione sulla passione e morte di Gesù ha forgiato bene l'animo di questo ragazzino, che non barcolla di fronte alla sofferenza e alla sicura morte. Ricorda bene quello che ha scritto qualche anno prima: "Per amore di Gesù appassionato sopporterò qualunque pena; sarò modesto, umile, rassegnato; e farò tutto con grande fiducia nell'aiuto potente ed assoluto del Cielo".

Nella malattia il giovane seminarista ripete spesso: "È troppo poco, mio Dio! Oh! Quanto vorrei soffrire …; ma ti offro queste piccole pene in espiazione dei miei peccati!". La malattia intanto si aggrava, la febbre lo consuma ogni giorno di più. Alla mamma e alla nonna, che lo assistono amorevolmente negli ultimi giorni, dice: "Si avvicina l'ora beata: sono felice! Iddio mi chiama. Tu mamma mia, non piangere: è necessario che io parta da questo mondo; insieme, facciamo al Signore un'umile offerta della mia vita e del tuo fervido amore materno. Un giorno, lassù, io pregherò per te, per la nonna, per il babbo, per il fratellino, per tutti". "Sì, riesce a balbettare mamma Semira, per amore di Dio benedetto, sia fatta la sua adorabilissima volontà".

 

Pasqualino è ormai alla fine. Gli vengono dati gli ultimi sacramenti. Riesce solo a esclamare: "Gesù, Mio Dio, spandete ancora sul vostro figlio redento un raggio della Vostra Augustissima Grazia, e io sarò tutto vostro, sarò santo". Io suo fisico sofferente è ormai allo stremo, ma non perde mai la serenità e il sorriso. Il suo viso diventa sempre più luminoso, gli occhi fissi sul tanto amato crocifisso, che stringe al petto mormorando di tanto in tanto: "Gesù, vengo …".

 

Muore nel seminario di Penne (PE), il pomeriggio di venerdì 24 gennaio 1930, dopo pochi giorni di malattia, mentre fuori il campanone del Duomo ricorda l'ora della morte di Cristo. La notizia della morte di Pasqualino fa il giro della città di Penne in un baleno. Tutti sono convinti che e ripetono all'unisono che "è morto un santo".

Nel ricomporre la salma vengono trovate due lettere scritte alcuni giorni prima della sua malattia a Gesù e alla Madonna. Quella indirizzata a Gesù, del 19 gennaio, ripete ancora una volta il leit-motiv della sua vita, il desiderio di farsi santo, pru nella consapevolezza di essere un peccatore: "Io voglio farmi santo, presto santo, grande santo. Perdonatemi se sempre ve l'ho promesso di farmici e non ho fatto mai niente … Signore, Padre Mio, dimenticate i miei peccati, ridonatemi la vostra amicizia, ricevetemi ancora per Vostro Figliolo, beneditemi perché io voglio farmi santo. Oh! Amor mio, i giorni passano ed io sono sempre fermo, non sia più così, santo a ogni costo vuol farsi il misero, il più cattivo Vostro figliolo".

 

La sua morte è stata una vita breve ma ricca di contenuto, che la morte non ha distrutto ma solo esaltato. Lo stesso vescovo monsignor Carlo Pensa nella notte in cui la salma di Pasqualino viene esposta in Cattedrale, non riesce a distaccarsi da lui. Una forza misteriosa lo trattiene accanto al ragazzino passato su questa terra come una meteora di santità. I funerali, presenziati dal vescovo, sono un trionfo. Tutta la città di Penne partecipa.

 

Altrettanto solenne è l'omaggio che Bisenti riserva al suo piccolo grande figlio, che viene sepolto nel cimitero del paese, alla presenza di mamma Semira (che morirà il 4 Agosto 1969 a Baltimora). La folla si assiepa intorno al feretro gridando: "Il santino! Il santino".

 

Nell'elogio funebre monsignor Amedeo Dolceamore, professore di Pasqualino, ricorda che i suoi compagni non lo hanno mai "visto mancare alla regola, anche ad una piccola regola. Compiva il suo dovere di chierico e di studente fedelmente, costantemente, interamente, con umiltà e forte bontà". Tutti a Bisenti sono convinti che è morto un ragazzo che non ha fatto nulla di straordinario, ma ha solo vissuto con coerenza il Vangelo e osservato la regola di vita del seminario. E sono sicuri che presto da quella tomba si sentiranno fremiti di risurrezione.

 

Intanto la vita del seminario di Penne continua, ma d'ora in poi nulla sarà come prima. Pasqualino ha lasciato dietro di sé un indelebile profumo di santità. Il rettore ripete spesso durante la scuola che: "Canzii sarà il protettore del nostro seminario come un Domenico Savio ... noi lo ricorderemo sempre, perché ha lasciato di sé un'ottima memoria". E il vescovo monsignor Pensa lo addita agli stessi seminaristi come un vero modello: "La morte del povero Canzii (o meglio non povero, ma fortunato) è stata per noi una scossa stragrante, per farci stare sempre preparati ... Quello sì che aveva capito .... Il Signore ce lo ha tolto forse perché noi non eravamo degni di possedere un sì bel fiore".

 

La notizia della morte di Pasqualino travalica anche i confini dell'Abruzzo. Il 27 giugno 1930 il bisettimanale Luce, organo dell'Azione Cattolica di Varese, riporta un lungo articolo sulla morte del giovane seminarista. Nell'articolo intitolato Un fiore degli Abruzzi si dice tra l'altro: "Nulla di straordinario aveva compiuto quel giovinetto. Era vissuto da buono e santo chierico: ecco tutto ... E difatti a Bisenti lo chiamavano il santino il nostro chierichetto. Non v'era in lui alcuna ostentazione: umile, pio, devoto, viveva di preghiera e di studio; non si accomunava mai con gli altri ragazzi per futili trastulli o divertimenti, non lasciava mai il suo abito che aveva tanto caro; e il popolo vedendolo passare così raccolto, lo additava ai propri figli come un esempio, come un modello. Anche i compagni non potevano che amarlo, perché tutto bontà e amabile semplicità ... egli non avanzava pretese e, sempre mirando al Cielo e alle cose celesti, portava il sorriso di Gesù e un'aura di santa letizia ovunque passava".

 

Sessantanove anni dopo la morte di Pasqualino, il 26 Gennaio 1999, il Vaticano accoglie la richiesta dell'arcivescovo di Pescara - Penne, monsignor Francesco Cuccarese, di iniziare la causa di beatificazione. L'unico desiderio di Pasqualino di farsi santo, presto santo, grande santo sta per realizzarsi. Tutta Bisenti, l'intera diocesi di Pescara - Penne e i seminaristi di tutto il mondo aspettano di avere in Pasqualino il loro protettore.